Sono trascorsi ormai 10 anni dalla scomparsa improvvisa del pittore abruzzese Carlo Marcantonio che fu anche scrittore e valido critico d’arte scopritore di giovani talenti proprio nel campo delle arti visive e se si eccettuano rare testimonianze per ricordarlo, questo straordinario artista è stato praticamente dimenticato. Solo nelle settimane successive la sua scomparsa la città di Miglianico gli rese omaggio con una mostra al Palazzo della Duchessa promossa da tre suoi discepoli ed ammiratori: Giacomo D’Alesio , Mario Magliocchetti e Marco Miglio , mentre nel 2009 fu doverosamente inserito nella sezione del Premio Michetti “Un sogno in riva all’Adriatico” che presentava le opere premiate negli anni alla rinomata rassegna francavillese. Poi più nulla. Marcantonio era nato a Raiano nel 1923 ed è morto nel 2003 a S. Cesareo (Roma) dove risiedeva da anni e dove dirigeva una scuola di pittura denominata “ Scuola di Casa romana”. Compì gli studi artistici alle Accademie di Perugia e Firenze. Dal 1950 ha partecipato alle maggiori rassegne d’arte italiane, fra cui i Premi Marzotto, Michetti, Arezzo, Suzzara, Avezzano, Sulmona, Ramazzotti, le Biennali di Verona, di S. Gabriele, la Quadriennale di Roma, la Triennale di Milano, e così via. In qualità di grafico ha illustrato libri di narrativa e di poesia e ha collaborato come giornalista al quotidiano Il Tempo . Nel 1997 gli fu conferito il Rosone d’Oro a Pianella per l’arte e la cultura abruzzese. La sua ricerca figurativa, incentrata sui temi del paesaggio e della figura, nel corso degli anni ha subito una maturazione in chiave cromatica e soprattutto nel taglio compositivo. Notevole il suo impegno nel campo dell’arte sacra con opere eseguite per luoghi di culto.A ben leggere i suoi lavori sorprende la chiara abdicazione al chiasso, ai gesti barocchi ed alle esplicite apologie delle neoavanguardie che fruiscono sì di uno straordinario coordinamento pubblicitario, inversamente proporzionale al valore effettivo della ricerca estetica e linguistica. E sorprende altresì la saggezza con cui egli ha saputo portare avanti negli anni una linea iconica che avesse le sue radici nella cultura classica, pur cogliendo taluni stilemi ed incidenze caratterizzanti l’arte del secolo scorso. Un’interazione quindi tra i valori formali propri di una gestione umanistica della pittura e la coscienza del dubbio specifica della contemporaneità. Dalla contrapposizione frontale, complice un’eccellente disposizione al rischio ed al ritmo del presente, ci saremmo aspettati oscillazioni schizofreniche: invece, avendo egli affidato al silenzio (inteso come alone metafisico che crea l’animazione interiore) la realtà tutta, sia la figura, che il paesaggio o la natura morta, accade che la prospettiva classica e quella moderna, anziché produrre sfasamenti, sembrano programmate ad una pacifica convivenza. Ed è questo un progetto magistrale che solo pochi artisti riescono a concretizzare. Dicevamo del silenzio, che quasi fissa in un contesto extratemporale l’immagine riprodotta, con finalità emotiva. Ma l’energia propria del flusso del tempo, bloccata, si tramuta in energia spaziale, talvolta (penso ai suoi stupendi squarci paesaggistici) in senso reale, ma quantomeno a livello progettuale, come accade nella serie di nudi e figure femminili che il maestro abruzzese ha dipinto a più riprese. In essi, a ben riflettere, si coglie bene il meccanismo per cui il dato organico-sensoriale rimanda (ampliando così la spazialità) a quello mentale, proprio in virtù del silenzio.A rinverdire la memoria del maestro scomparso ancora una volta provvedono i tre suddetti suoi discepoli che lo scorso anno fecero parte della rassegna “Artisti della Mitteleuropa e dell’area mediterranea”, itinerante in diverse città italiane. Recentemente ho avuto il piacere di incontrare Giacomo D’Alesio, Mario Magliocchetti e Marco Miglio presso lo studio della scultrice Concetta Palmitesta ed è stato proposto un ambizioso progetto commemorativo attraverso una loro mostra per ricordare l’artista. Saranno presentate loro opere a tema paesaggistico, un segmento, come detto, assai praticato da Marcantonio. Sarà un’occasione per verificare la sapienza d’un magistero mirato alla salvaguardia dei valori estetici e formali e allo stesso tempo il rispetto che come docente Marcantonio aveva della libera creatività degli alunni della suddetta Scuola di Casa Romana. Difatti a ben leggere le loro opere pur essendo evidente la provenienza da una comune scuola, possono evidenziarsi le rispettive individualità. Ad esempio D’Alesio ha saputo introiettare dalla lezione del maestro di Raiano il vigore cromatico e la saldezza strutturale delle scene naturalistiche, mentre dal canto suo Magliocchetti riesce ad inverare in senso umanistico le visioni raffigurate sulla tela attraverso un’evanescenza del dato veristico; infine Marco Miglio idealizza i suoi brani di paesaggio inserendoli in composizioni dominate da presenze floreali in primo piano in grado di offrire una lontananza non solo spaziale, ma anche temporale all’opera