Il pittore che ama Fellini “Cosi’ mi hanno ispirato gli attori e le maschere”. Mario Russo prepara una mostra per il Palazzo imperiale di Pechino TITOLO: Il pittore che ama Fellini “Cosi’ mi hanno ispirato gli attori e le maschere” di PIETRO LANZARA Nelle sue tele Mario Russo ha dipinto Anna Magnani e Sophia Loren, Greta Garbo, Marlene Dietrich e Marilyn Monroe, Charlie Chaplin e Toto’ . Negli anni Cinquanta, un’ opera come “Il produttore” anticipava il fascino trionfante del divismo, gli eccessi patinati dei rotocalchi. Le attrici cariche di belletto e di rossetto, luccicanti di gioielli, calde di pellicce, sono nascoste sotto grandi cappelli fuori proporzione e discendono dalla Scuola Romana, dalle cortigiane di Scipione. Allo stesso tempo, certe “processioni” o “feste del Santo”, con le luminarie ricche ma popolari da paese del Sud, ammiccano tanto a James Ensor quanto al cinema di Pietro Germi: “Non dimentichero’ mai la sua Piedigrotta”, commenta Ennio Morricone, “con i mille volti del popolo e le mille bocche gioiose che cantano e i visi, un po’ pallidi, di Roberto Rossellini, di Eduardo, di tanti altri conosciuti e sconosciuti”. “Mi ricorda”, ha detto una volta Federico Fellini di Mario Russo, “il tipo di pittori che ho conosciuto da ragazzino in provincia e piu’ tardi a Roma e ai quali non ho piu’ smesso di guardare con amicizia: l’ artista figurativo che riunisce in se’ l’ artigiano, l’ operaio, il padrone di bottega, con i commessi, le scadenze, le consegne, con quell’ inconfondibile senso del fare…”. E infatti i lavori di Mario Russo sono stati presentati alla Mostra delle opere dedicate al regista dei “Vitelloni” e di “Amarcord”, allestita nel 1987 a Washington e riproposta l’ anno seguente a Palm Beach in Florida. “Sono venuto misteriosamente a fare parte, ad abitare nei suoi quadri”, osservava Fellini, “Mario Russo infatti mi ha preso, senza mai dirmelo, per modello, raffigurandomi in sfondi e costumi di epoche lontane, atteggiamenti aureolati, ruoli improbabili, oppure probabilissimi, come quelli del clown, del saltimbanco, del burattinaio. Forse lo hanno suggestionato il mio lavoro, le atmosfere, le figure femminili dei miei film, un certo modo di guardare la vita che avra’ sentito familiare, in cui avra’ riconosciuto una inconsapevole appartenenza”. Da Napoli, la citta’ dove e’ nato nel 1925, Mario Russo si porta dietro il gusto innato della scenografia. Ha decorato il transatlantico “Raffaello” con quattro grandi pannelli in acciaio, ispirati ai cartoni del pittore di Urbino, ora conservati al Victoria and Albert Museum di Londra. Ma ha anche girato per l’ Italia mescolato alle compagnie teatrali, per ricavare idee da mettere sulla tela. Negli anni Ottanta le sue Maschere e i suoi Attori hanno contribuito alla riscoperta del Teatro cinese. Cosi’ , ora, Mario Russo e’ stato chiamato dalla Repubblica Popolare Cinese ad allestire una grande mostra nella Sala del palazzo Imperiale di Pechino, primo europeo al quale sia stato concesso questo onore. L’ iniziativa, voluta dal consigliere culturale a Roma Li Guoqing, e’ patrocinata dall’ Istituto italiano per l’ Asia. “In questa occasione”, spiega Mario Russo, “presentero’ una cinquantina di opere, dagli anni Sessanta alla produzione piu’ recente. Ho appena eseguito alcune tele che s’ ispirano direttamente alla vita e alla cultura della Cina. Per esempio i “Buoi del Fiume Giallo” oppure i “Vasi cinesi con fiori”, capolavori in pietra arenaria sui quali appare scolpito il Bodhisattva, e che risalgono alla dinastia Tang o alla piu’ tarda dinastia Jin”. “Con questi fiori, con una serie di nature morte luminose”, prosegue Russo, “ho finalmente scoperto dentro di me il colore. Sono stato sempre considerato, per la severita’ e lo stile, un nordico del Sud. Ho cominciato a dipingere da bambino, i miei quadri erano tristi, grigi. La mia era una famiglia poverissima, mio padre un umile artigiano. Quando sono nato ero gia’ vecchio. Forse perche’ ho subito respirato l’ aria misteriosa di una terra antichissima, la zona Flegrea di Napoli, fra l’ antro della Sibilla Cumana e la Tomba di Virgilio. Quando mi sono trasferito a Roma, all’ inizio degli anni Cinquanta, ho approfondito la passione per i calchi delle sculture antiche, li ho copiati nei musei, nelle gliptoteche. Come Jacques Louis David ho passato intere giornate davanti ai gessi che riproducono i rocchi originali, in marmo di Carrara, della Colonna Traiana. Al gusto dell’ archeologia, ho sempre legato la predilezione per le tinte fredde, glaciali. Ora pero’ la mia tavolozza e’ cambiata. Anche se, potrei ripetere con Matisse, quando faccio il verde non significa che sia un prato, quando faccio l’ azzurro non significa che sia un cielo”