Remo Brindisi, pittore verista del Novecento Italiano, nasce a Roma il 25 aprile del 1918. Frequenta dapprima la Scuola d’Arte di Penne, dove suo padre insegna scultura in legno e, dal 1935 per breve tempo, i corsi di scenografia del Centro Sperimentale di Roma e le lezioni alla Scuola Libera di nudo dell’Accademia di Belle Arti di Roma, fino a quando ottiene una borsa di studio per l’Istituto Superiore d’Arte per l’Illustrazione del Libro di Urbino. Chiamato sotto le armi, durante la seconda Guerra Mondiale, a seguito dello sbandamento dell’esercito italiano, arriva a Firenze, dove vive una pausa felice nel circolo di amici artisti, quali Felice Carena, Ardengo Soffici,e Ottone Rosai. A Firenze nel 1940 Brindisi allestisce la sua prima mostra personale con quadri che hanno una impostazione descrittiva e lirica: il catalogo di questa mostra ha la presentazione di Eugenio Montale. Fatto prigioniero dai tedeschi, riesce a fuggire e si rifugia in clandestinità a Venezia fino al giorno della Liberazione. A Venezia inizia un sodalizio con il Gallerista Carlo Cardazzo, che gli assicura un’intensa attività espositiva, presso la propria Galleria “Il Cavallino”.Trasferitosi a Milano dal 1947, dove Cardazzo ha aperto la Galleria Il Naviglio, Remo Brindisi entra nella polemica tra realisti ed astrattisti, in corso in quegli anni, e si schiera aderendo al Gruppo “Linea” con Dova, Kodra, Meloni, Paganin, Porzio, Quasimodo , Joppolo e Tullier, si appropria di nuovi elementi e le sue figure assumono il tipico appiattimento cubista. Nel 1950, allo lo scioglimento del Gruppo Linea, si accosta al movimento del Realismo, ma nel 1955 dopo una interessante mostra antologica che il comune di Milano allestisce per Remo Brindisi al Padiglione d’Arte Contemporanea e la prima personale a Zurigo, si consuma la sua rottura nei confronti del movimento del Realismo, che coinvolge, oltre l’ambiente artistico, anche la stampa politica. Remo Brindisi dipinge grandi opere con temi ciclici, molti suoi quadri affrontano temi sociali, facendosi testimone di una “sofferenza collettiva” la cui rappresentazione dà alle opere un carattere epico. Fra il 1956-57 crea le quattordici tele di “Via Crucis”, momento di religiosa interiorità nel clima di tensione degli anni del dopoguerra. Di grande vigore appare il ciclo “Storia del Fascismo” che lo ha impegnato fra il 1957 e il 1962. In questo lavoro abbandona l’impianto architettonico dell’immagine, adotta l’espressività intensa, dai toni ombrosi di una pittura informale. A quindici anni dalla fine di un’era, dopo una serie di disegni, tempere ed incisioni, Remo Brindisi realizza due serie di grandi quadri sui personaggi, temi ed avvenimenti storici e politici, del ventennio fascista. Le opere parlano di atmosfere interiori, di ricordi traumatici, che riemergono dopo anni sotto forma di incubi. Illustrando alcuni avvenimenti salienti della vicenda del fascismo. fissando sulla tela immagini viste con gli occhi della mente, Remo Brindisi dà forma alla cattiva coscienza, al marchio della colpa sull’uomo, all’orrore non rielaborato e non superato.