(Arcevia, 21 ottobre 1946) è un pittore italiano. È un pittore “manierista”, annoverabile tra i fondatori della Nuova maniera italiana, il movimento artistico nato nei primi anni ottanta nel contesto della Transavanguardia, grazie alla collaborazione con il critico Giuseppe Gatt, con l’obiettivo precipuo di recuperare la grande tradizione pittorica del Rinascimento e le tecniche del Manierismo cinquecentesco (Pontormo, Rosso Fiorentino, Del Sarto). La crisi della figurazione, dalle Avanguardie storiche alle ultime tendenze post-belliche, suggerisce ad un copioso gruppo di artisti italiani una sorta di ritorno al mestiere di pittore, all’uso dei pennelli e dei materiali tradizionali, che promuove una rinnovata e proficua stagione artistica dove l'”invenzione” non prescinde dalla qualità del manufatto. Le tecniche pittoriche cui fa ricorso sono quelle tipiche della grande tradizione, dall’olio su tela all’incisione ad acquaforte, fino all’affresco, mentre i temi ricorrenti sono quelli classici, dalla mitologia al soggetto sacro. Espone a Roma presso la Galleria Apollodoro di Paolo Portoghesi, che diventa il luogo di aggregazione ed il punto di riferimento principale del movimento neomanierista. Nel 2001, dà vita, assieme agli artisti Luigi Frappi e Vittoria Scialoja, al movimento dei “Revivalisti”. Scrive Maurizio Calvesi: «Dal filone degli “anacronisti”, si è staccato un gruppo di pittori che sono stati battezzati “neo-manieristi” o artisti della “Nuova Maniera”. Bruno d’Arcevia è forse il più tipico rappresentante di questa corrente. Questi pittori “citano” (ma non testualmente) i manieristi, ovvero gli inventori della citazione in pittura. Quel gioco di specchi proprio dell’arte concettuale che si valeva soprattutto di riproduzioni fotografiche, diventa un meccanismo incarnato nel vivo farsi della pittura, con un esuberante margine di gioia creativa nel dinamismo dei colori e delle linee. Le linee di d’Arcevia enfatizzano gli stilemi allungati e contorti del manierismo, dando vita a un fantastico arabesco. I colori sono mentali nei loro accesi e acidi cangiantismi, in un trapasso dal “freddo” della citazione colta al “caldo” dell’immaginazione, che rivisita una divertente ma meditata mitologia. Per apprezzare l’emancipazione mentale e la quasi sfacciata felicità di questa operazione basata sul travestimento dello stile, bisogna vincere l’istintivo rifiuto del primo colpo d’occhio, quale del resto suscita sempre ogni avventurosa novità dell’arte, che dissesti le abitudini del gusto. Acrobata del salto all’indietro (nel passato), d’Arcevia cade però in piedi sulla pedana del suo circo ellittico e anamorfico. La citazione virtuosa e inventata, la mimesi dello stile che si alimenta di se stessa, sono il luogo di un gioco intellettuale che ha tutte le stimmate della modernità, anche proprio nella sua irritante forza di provocazione.»
Ha esposto a tre edizioni della Quadriennale di Roma (1986, 1992 e 1996).